Un contenitore polifunzionale: tra biblioteca e polo museale
Il Museo Archeologico di Pulsano (MAP) si sviluppa negli ambienti al primo piano del Convento dei Frati Minori o Riformati, fondato nel 1700 da Nicolò Sergio Muscettola. Il complesso del Convento, restaurato e restituito alla comunità di Pulsano, è un polo culturale polifunzionale che offre una visione dettagliata della storia locale grazie non solo al MAP, ma anche alla Biblioteca e alla Sala Convegni poste al piano terra.
Il Museo ospita collezioni di reperti provenienti dai principali siti archeologici del territorio. L’allestimento consente di apprezzare, in particolare, i materiali dai contesti di Torre Castelluccia (insediamento e necropoli protostorica) e Luogovivo (villa romana), oltre a quelli delle necropoli della chora greca. Lungo il percorso espositivo, accessibile anche alle persone con disabilità, sono dislocati totem multimediali per facilitare la visita del museo, con particolare attenzione ai bambini e ragazzi in età scolare.
Museo delle Tradizioni e delle Attività Umane
Le radici della nostra terra
Il Museo delle Tradizioni e delle Attività Umane di Pulsano è una finestra affascinante sul passato agricolo e marinaro di questo angolo di regione pugliese. Situato in via Costantinopoli 10, il museo è un tesoro ricco di reperti che raccontano la storia della vita quotidiana locale così come si svolgeva nei decenni e nei secoli passati.
All’interno del museo, i visitatori possono esplorare collezioni che illustrano le antiche pratiche tipiche del territorio, tra cui spiccano in particolare quelle di olivicoltura, viticoltura, coltivazione del grano, tessitura, sartoria e lavori domestici.
A impreziosire il tutto, ogni pezzo è accuratamente etichettato in dialetto locale, non solo per preservare gli oggetti stessi, ma anche per mantenere viva la memoria storica e immateriale dell’identità di Pulsano.
Biblioteca comunale di Pulsano
Storia, servizi e attività
La Biblioteca comunale di Pulsano è intitolata a Pietro Mandrillo, figura di spicco del panorama culturale pulsanese e ionico degli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso. Fu istituita nel 1958 con un patrimonio librario di circa 1000 volumi, comprendente la raccolta delle Leggi e Decreti del Regno delle Due Sicilie e quella dello Stato Italiano. Dal 2018 la biblioteca è ubicata al piano terra del Convento dei Padri Riformati, un complesso monumentale edificato agli inizi del XVII secolo per volontà di Don Nicolò Sergio Muscettola, principe di Leporano, Pulsano, Torricella e Monacizzo e sede dell’Ordine dei Padri scalzi di San Francesco.
Nel corso degli anni la biblioteca ha visto accrescere il proprio patrimonio grazie alle donazioni di enti e istituzioni, ma anche di privati cittadini. Ad oggi, dispone di un patrimonio di circa 20.000 documenti comprendenti libri, opuscoli, CD e DVD. Di particolare rilevanza: un cospicuo numero di pubblicazioni dell'Ottocento pre-unitario di 32 volumi antichi; carte geografiche risalenti al XVIII e XIX secolo; numerose edizioni rare ante 1945 e le Sezione dei Fondi Speciali come il Fondo Regionale e Locale, il Fondo Pesiri, il Fondo USIS e l’emeroteca, che comprende circa 75 testate locali e nazionali cessate e 8 testate attive.
Presso la Biblioteca Pietro Mandrillo sono attivi i servizi di prestito e consultazione di volumi. Inoltre, si organizzano:
visite guidate su appuntamento per gruppi di visitatori e percorsi didattici specifici per le scuole, di ogni ordine e grado;
presentazioni di libri ed iniziative culturali;
attività di promozione della lettura rivolte soprattutto ai più giovani, nell’apposita Sala Ragazzi.
A partire dal 2013 la biblioteca ha aderito al Polo bibliotecario SBN di Taranto e dal 2021 fa parte della Rete bibliomuseale della Regione Puglia.
La DE.CO.
La Denominazione Comunale di Origine e i suoi prodotti
Il marchio De.Co., “Denominazione Comunale”, è stato istituito per attestare l’origine dei prodotti e il loro legame storico e culturale con il territorio comunale, nonché quale efficace strumento promozionale del Comune di Pulsano. Attraverso la De.Co. si mira a:
conservare nel tempo i prodotti che si identificano con gli usi e che fanno parte della cultura popolare locale;
tutelare la storia, le tradizioni, il patrimonio culturale e i sapori legati alle produzioni tipiche locali.
La De.Co. non costituisce un marchio di qualità ma, quale attestazione di origine geografica, equivale nel significato, negli obiettivi e negli effetti, al marchio “Made in Italy”. Per “prodotto tipico locale” si intende il prodotto agroalimentare derivante da attività agricola o zootecnica o dalla lavorazione e trasformazione di prodotti derivanti da attività agricola e zootecnica, ottenuto o realizzato sul territorio comunale secondo modalità che si sono consolidate nei costumi e nelle consuetudini a livello locale. Pertanto, l’aggettivo “tipico” è inteso come sinonimo di “tradizionale”.
Fagiolo rosso
Il tesoro rosso pulsanese
Questo fagiolo rosso, raro e tipico di Pulsano, è stato insignito del marchio De.Co. che ne attesta l’origine locale.In coltivazione da più di centocinquanta anni, il fagiolo rosso è meno conosciuto rispetto al “fagiolo della Signora”, ma è altrettanto buono. La cottura è meno rapida, ma in compenso il sapore è più deciso. La colorazione interamente rossa dipende dall’abbondante presenza di licopene, un carotenoide importantissimo come antiossidante e protettivo del nostro patrimonio genetico. Come il fagiolo bianco della Signura, da cui potrebbe essere derivato tramite possibile mutazione, il disciplinare di coltivazione ne prevede una doppia semina: la prima intorno all’inizio della primavera con raccolto a fine luglio, che viene riseminato in agosto con raccolto finale a metà ottobre. Ogni coltivatore custodisce gelosamente le proprie date di semina e segue ogni fase di maturazione con occhio esperto, pronto alla semina e al raccolto in base alla propria esperienza e alle condizioni climatiche. L’origine e la necessità della doppia semina è incerta: non ci sono studi scientifici che documentino variazioni biochimiche favorevoli usando questo metodo, ma soltanto testimonianze che riferiscono una maggiore tenerezza alla cottura ed al palato solo nei fagioli ottenuti alla seconda semina. Probabilmente, poiché l’alimentazione in passato era basata prevalentemente sull’uso quotidiano di legumi, si arrivava a fine inverno con una piccola quantità di semi disponibili e si procedeva alla doppia semina per garantirsi un raccolto sufficiente a soddisfare i bisogni familiari durante l’intera annata.
Pasulu ti la Signura
Un patrimonio da preservare
Lu Pasulu ti la Signura (“fagiolo della Signora”) è un fagiolo bianco con piccola colorazione rosso carminio in corrispondenza dell’ilo. Molto raro e in via di estinzione, ha avuto per primo il riconoscimento De.Co. e l’inserimento nell’Arca del Gusto da Slow Food.
Il nome di questo fagiolo raro e tipico di Pulsano, in coltivazione da più di centocinquanta anni, potrebbe derivare dalla piccola colorazione rossa che ricorda le labbra delle nobildonne che avevano cura del loro aspetto, oppure perché i contadini ne fornivano una buona parte alla consorte del feudatario, risultandone molto graditi per la loro morbidezza, leggerezza e tollerabilità. Si tratta di un fagiolo che si presta ad una cottura rapida che esprime tenerezza, leggerezza e tollerabilità. Il suosapore, abbastanza neutro, lo rende adatto a produrre gelati e creme al cioccolato con benefici salutari.
Un'altra caratteristica che lo differenzia da tutti gli altri fagioli è il disciplinare di coltivazione che prevede una doppia semina: la prima intorno all’inizio della primavera con raccolto a fine luglio, la seconda intorno al cinque agosto con raccolto finale a metà ottobre. In realtà ogni coltivatore custodisce gelosamente le proprie date di semina e segue ogni fase di maturazione con occhio esperto, pronto alla semina ed al raccolto in base alla propria esperienza ed alle condizioni climatiche. L’origine e la necessità della doppia semina è incerta: non ci sono studi scientifici che documentino variazioni biochimiche favorevoli usando questo metodo, ma soltanto testimonianze che riferiscono una maggiore tenerezza alla cottura ed al palato solo nei fagioli ottenuti alla seconda semina. Probabilmente, poiché l’alimentazione in passato era basata prevalentemente sull’uso quotidiano di legumi, si arrivava a fine inverno con una piccola quantità di semi disponibili e si procedeva alla doppia semina per garantirsi un raccolto sufficiente a soddisfare i bisogni familiari durante l’intera annata.
Lu scauniscu
Un dolce che unisce le generazioni
La lavorazione e il consumo dello “scauniscu” a Pulsano si perdono nella notte dei tempi, avendo intenerito il cuore di intere generazioni con il suo gusto e il suo profumo provenienti dai forni a legna di allora. L’origine del nome e della ricetta vanno fatti risalire con certezza all’arrivo in Italia del pan dolce schiavonico, un pane di semola mescolato con mosto cotto ed ammorbidito con acqua tiepida e arricchito da mandorle grossolanamente tritate.
“Schiavonico” perché originario della Schiavonia, oggi Dalmazia, terra con la quale la nostra gente aveva scambi di ogni genere, commerciali ed economici, fin dai tempi del Principato tarantino di Giovanni Antonio Orsini del Balzo nella seconda metà del ‘400. Del pane schiavonico si fa menzione in una lettera dell'Arcivescovo di Taranto Giuseppe Capecelatro, esiliato a Napoli nel 1799 per aver aderito alla Rivoluzione giacobina di quegli anni. Il prelato aveva nostalgia delle ostriche tarantine, del tabacco in polvere da annusare ("l'erba santa"), del "pan dolce schiavonico" e ne chiedeva una buona scorta in segreto al suo sostituto Abate Tanzi (dal volume “Variazioni Taccuinarie” di Cesare Mandrillo).
Col passare degli anni, il pane schiavonico ha cambiato nome, forma e composizione secondo le numerose tradizioni locali e secondo la disponibilità degli ingredienti. È rimasta tuttavia fissa la presenza della semola, della marmellata d’uva e delle mandorle o frutta secca. Dalla sfoglia, con spessore tipico del biscotto, si formano calzoni di circa 10 cm imbottiti con marmellata d’uva nostrana, mandorle e grattugiato di agrumi locali. Infornati e quindi consumati con delizia da ogni palato.
La puccia alla tajedda
La Puccia alla Tajedda è un prodotto tipico della tradizione culinaria di Pulsano, simbolo della cultura locale e della valorizzazione territoriale. L’etimologia è incerta: il dibattito aperto tormenta la stessa Accademia della Crusca, ma la conclusione più accreditata suggerita dal vocabolario indicherebbe che il termine “puccia” derivi dal latino buccĕlla(m) tipo di “pane povero” mentre il termine “tajedda” si riferisca al dialetto pulsanese “teglia”. Il legame alla “tajedda” non fonda le proprie radici unicamente nell’etimologia, ma nella stessa storia familiare: in un contesto storico in cui scarseggiavano i forni per la cottura dei cibi, la teglia rappresentava la famiglia, ognuno si recava con la propria presso il forno più vicino per poter cuocere la puccia.
In un’economia prevalentemente fondata sul settore primario, dunque un’economia agricola impegnata nella coltivazione delle viti per il Primitivo di Manduria, le dure giornate nei campi portavano via tempo ed energie. Per recuperarle, i contadini avevano bisogno di un pasto sostanzioso e poco oneroso: la puccia alla tajedda si configurava, così, come il giusto compromesso. La ricetta è stata tramandata oralmente di generazione in generazione, motivo per il quale non ne esiste un’unica versione. In linea di massima, le conditio sine qua non utili ad identificare il prodotto sono gli ingredienti: cipolle o sponsali, olive celline, pomodori, capperi, olio EVO paesano; e il relativo procedimento: un impasto rigorosamente chiuso su se stesso.
Il legame che il prodotto tipico ha con il territorio di origine permette di apprezzarne la storia, la genuinità degli ingredienti e di mostrare l’importanza delle risorse locali e di come queste risultino necessarie e specifiche nel processo produttivo e trasformativo del prodotto stesso. La Puccia alla Tajedda è il racconto di generazioni che hanno contribuito con il loro lavoro alla notorietà del paese, dello sviluppo economico dell’attività agricola e che si traduce nell’utilizzo delle proprie risorse territoriali. Il connubio di tutti questi aspetti permette al consumatore di farsi portatore di un patrimonio culinario da trasmettere e promuovere oltre il luogo di origine, generando una corrente qualitativamente positiva del prodotto che non conserva solo la potestà di “tipico” ma acquista quella di “bene identificativo”.
Cantina e oleificio sociale
Dalla terra di Puglia, dai suoi profumi e dai suoi colori, dai suoi venti e dai suoi mari, nasce la storia della Cantina e Oleificio Sociale di Pulsano. Un sodalizio formatosi agli inizi degli anni sessanta che oggi conta circa 300 soci, nato per unire le forze e l’ingegno dei piccoli produttori dei territori limitrofi. Le uve, perlopiù autoctone, vengono raccolte, lavorate e trasformate seguendo metodi tradizionali, per dar vita ad un vino semplice, equilibrato, fortemente identitario del nostro territorio. Si produce anche un ottimo olio di oliva, frutto di una lavorazione fedele alle antiche tradizioni. Un background fatto di piccole azioni quotidiane, di sacrifici, di passione per la terra, di conoscenza e rispetto per il territorio e per le tradizioni. Un progetto che non si ferma e continua a crescere con l’ambizione e i valori delle ultime generazioni.
Ricette della tradizione
Fave e cicoria
Le fave e cicoria sono un piatto tradizionale della cucina pugliese, e quindi anche della traduzione pulsanese, dove viene chiamato in dialetto “fave e fogghie”. Questo piatto semplice ma nutriente, che combina il sapore dolce delle fave secche, lessate fino a diventare una crema morbida, con l’amaro delle cicorie selvatiche, tipicamente raccolte nei campi e poi saltate in padella con aglio e olio d’oliva, racchiude i sapori della terra e la saggezza culinaria del luogo. Servite con un filo d’olio d’oliva extra vergine locale e accompagnato da pane casereccio, le fave e cicoria sono un esempio di come la cucina pugliese possa trasformare ingredienti semplici in un pasto ricco di storia e gusto.
La Bruschetta
La bruschetta, o “fedda rossa” nel dialetto di Pulsano, con il suo pane croccante tostato, strofinato da un lato con aglio e condito da un filo d’olio extravergine d’oliva locale e da pomodori maturi, è un’ode alla tradizione culinaria pugliese nonché pulsanese. Un altro classico intramontabile è la frisella, o “frisedda” in dialetto locale. Questo pane duro e biscottato, una volta inumidito con acqua, diventa il letto ideale per l’olio d’oliva, i pomodori tagliati, origano e un pizzico di sale marino.
È un piatto che parla di storia contadina, di prodotti della terra che arrivano sulla tavola grazie al lavoro di mani esperte. Il pane, impastato con passione, lievitato con pazienza e infine cotto alla perfezione, sia nella sua forma tostata e accogliente per la bruschetta sia nella sua versione più rustica per la frisella, non è mai un semplice accompagnamento, ma sempre un protagonista. Questi prodotti non sono solo cibo, sono un’esperienza, un invito a rallentare e gustare ogni momento. Per il turista alla ricerca di autenticità, Pulsano offre non solo un assaggio, ma anche un ricordo, che rimarrà impresso ben oltre il viaggio di ritorno a casa.
Laina cu la prugghiazza
La Portulaca, chiamata a Pulsano “prugghiazza”, è un’erba infestante molto resistente, con foglie carnose di colore verde, quasi lucenti. Una disperazione per gli agricoltori di un tempo perché’ predilige terreni ben concimati, irrigati ed esposti al sole caldo, in realtà è una pianta ricca di preziose sostanze nutritive quali le betalaine, i flavonoidi, preziosi sali minerali e vitamine (A e C) ma colpisce per la presenza di Omega 3, ben 350 mg di acida alfalinolenico su 100 gr di foglie.
Di notevole interesse le proprietà terapeutiche antidiabetiche, depurative, diuretiche ed antinfettive grazie all’elevata quantità di vitamina C. Tanto da essere imbarcata sulle navi, anticamente, per prevenire lo scorbuto. Fondamentale è, poi, l’abbondanza di omega 3, utile per la prevenzione e malattie cardiovascolari e infiammatorie.
Nella ricetta tradizionale si usano le foglie della “prugghiazza”, commestibili anche crude come è d’uso frequente fare a Cipro ed in alcune sparute zone del Sud Italia. Si lascia rosolare l’aglio in olio EVO pulsanese, a doratura dell’aglio si aggiungono pochi pomodorini paesani e dopo un paio di minuti si aggiungono le foglie di Portulaca ben lavata con un goccio di vino malvasia locale. A cottura ultimata, si aggiunge il condimento alla laina, pasta fresca cotta e appena scolata. La laina generalmente si ottiene da un impasto di farina di semola di grano duro con acqua e sale, lasciato riposare almeno un quarto d’ora e poi assottigliato con un mattarello per ricavarne delle strisce grossolane di pasta. L’aggiunta di peperoncino “guarda in cielo” e formaggio pecorino locale o, meglio, cacioricotta in grosse scaglie, completano la magnificenza di questo piatto.
I prodotti della terra
Vite
Il territorio dell’agro comunale di Pulsano si estende per circa 1.800 ha, costeggiando la marina per 3-4 km. Eliminando le superfici a servizio del centro abitato e della zona residenziale marina, restano circa 1.200 ha al servizio dell’agricoltura, che con il turismo e l’artigianato occupano il primo posto nelle attività lavorative. Il clima caldo-arido asciutto d’estate ed abbastanza piovoso d’inverno lascia spazio ad una agricoltura ricca e capace di ospitare diverse essenze erbacee (ortive in genere) ed arboree (vite, olivo ecc.). La vite, in passato allevata ad alberello e oggi trasformata a controspalliera grazie all’intervento della meccanizzazione, rappresenta il primo reddito agricolo ed è caratterizzata dalla produzione di uva da vino. La varietà più rappresentativa è il primitivo, a cui seguono il negroamaro e la malvasia a bacca bianca e rossa.
La pianta della vite, vitis vinifera s., è un arbusto rampicante con foglie palmate e piccoli fiori verdi in grappolo: il suo frutto è l’uva, dal quale si ricava il vino. Nell’Italia meridionale, le favorevoli condizioni pedoclimatiche e l’elevata disponibilità di vitigni autoctoni creano le condizioni ideali per la produzione sia di vini rossi che bianchi di elevata qualità e con spiccati caratteri di tipicità. La scelta della vite europea deve ricadere fra quelle autorizzate e raccomandante per la nostra regione. Tra queste, segnaliamo: primitivo n., negro amaro n., malvasia nera di lecce, malvasia nera di brindisi, aleatico n., aglianico n., minutolo b., malvasia bianca, privilegiando quelle varietà/cloni caratterizzati da bassa produzione, grappoli piccoli e spargoli e acini piccoli.
Ulivi
Pulsano è uno dei territori pugliesi d’eccellenza per l’olivicoltura. Gli uliveti caratterizzano questo territorio con le loro piante millenarie di notevole valore ambientale e paesaggistico dovuto all’aspetto, lo stato di conservazione e all’inserimento nel contesto locale. Tra le varietà di oliva più rappresentative dell’olio extravergine di oliva ci sono le ogliarola e le cellina di Nardò. In Italia sono censite circa 500 varietà di olivo, ognuna delle quali si adatta a differenti condizioni ambientali.
Attualmente, per gli effetti della xylella fastidiosa, nel nostro areale è possibile impiantare solo due varietà ritenute tolleranti al batterio e dunque alla malattia che da esso ne deriva: il complesso del disseccamento rapido dell’olivo (codiro). Indipendentemente dalle caratteristiche pedo-climatiche, la scelta delle varietà da impiantare è obbligata fra leccino e fs17 favolosa. La prima è una cultivar a duplice attitudine da olio e da mensa, la fs17 favolosa è esclusivamente da olio e di recente costituzione.
Il fico (ficus carica)
La coltura del fico ha avuto per secoli a Pulsano una funzione fondamentale di sostentamento delle famiglie più povere e dell’economia agricola del territorio. Il suo successo è dipeso dalla spiccata adattabilità della pianta ai nostri terreni soleggiati e molto asciutti, modesto fabbisogno idrico ma soprattutto un gusto estremamente piacevole per tutti. E se i frutti freschi costituivano una delizia estiva, quelli secchi apportavano alla dieta invernale un contenuto calorico difficilmente reperibile in quegli anni nella povera cucina contadina.
Oggi i fichi spesso vengono sconsigliati per chi è in sovrappeso o ha valori glicemici alti, in realtà l’indice glicemico ed il carico glicemico attribuibili all’uso di questi frutti sono modesti, tali da renderli adatti a tutte le diete prescritte con criterio. Stupiscono le concentrazioni di sostanze terapeutiche: nel fico troviamo 67 composti polifenolici ad azione antivirale, antinfiammatoria, antibatterica, antiossidante ed antitumorale. 100 gr di fichi contengono 2,1 gr di polifenoli, una quantità enorme se confrontata con altri frutti e, addirittura, con prodotti venduti in farmacia. Il lattice fresco che fuoriesce staccando i frutti acerbi e le foglie è un vero rimedio per le verruche per la sua azione cheratolitica, ed è in grado di far coagulare il latte facendo precipitare un formaggio locale tenero e delizioso, la “pampanella”.
“Non valere un fico secco” è un detto che, evidentemente, non si basa su valori nutrizionali ma probabilmente deriva da abitudini che si perdono nella notte dei tempi: nell’antica Grecia il fico non era considerato un frutto prelibato ed era mangiato e regalato ai poveri. Questa connotazione negativa è rimasta dunque nell’immaginario popolare anche da noi. Nella Regione Puglia si ritrovano catalogate 80 varietà di fichi e 18 di fioroni, in un patrimonio complessivo di 200 specie.
Il villaggio Protostorico di Torre Castelluccia
La preistoria a Pulsano
Nella località Torre Castelluccia l’insediamento di epoca neolitica è testimoniato dal rinvenimento di 4 sepolture del tipo a tumulo riferibili ad un insediamento del Neolitico antico (VI millennio a.C.), con la presenza in superficie, nell’immediato entroterra costiero di ceramiche impresse e graffite. All’Età del Bronzo medio risale (XVII-XIV sec. a. C.) risale il primo impianto dell’insediamento di Torre Castelluccia, che conserva i resti di un villaggio abitato fino all’età del ferro (X-VIII sec. a.C.) e di una necropoli ad incenerazione del Bronzo finale (XI sec. a. C.).
Il sito di Torre Castelluccia sorge in località Bosco Caggione. L’area è posta a circa 21 mt sul livello del mare ed è dominata dalla Torre di avvistamento cinquecentesca. L’insediamento si sviluppa su un promontorio compreso tra due baie ed è separato, tramite un vallo naturale, dal pianoro retrostante, su cui sono stati individuati nuclei di necropoli. Oggi l’area dell’insediamento e quella della necropoli sono separate dalla Litoranea Salentina, realizzata negli anni ‘50.
Il villaggio di età protostorica è caratterizzato da una rampa di accesso, lastricata a pietra e da piccoli agglomerati di capanne a pianta rettangolare. L’abitato appare delimitato, a sud-est, da un muro a doppia cortina. Sul versante meridionale sono stati rilevati un ulteriore muro riferibile probabilmente ad un secondo circuito di fortificazione.
La piana a sud del promontorio era probabilmente regolarizzata con terrazzamenti ed occupata da altre strutture con funzione abitativa o produttiva. La Capanna, indagata per la prima volta nel 1948 da Drago, è una struttura a pianta rettangolare con muri perimetrali in pietre calcaree. Sul muro interno due blocchi aggettanti delimitano un’area definita ripostiglio, che ha restituito diversi reperti in bronzo, tra i quali una spilla ornamentale, anelli, fibule, un rasoio, una collana in osso, pasta vitrea, corniola e conchiglie. I materiali rinvenuti nella capanna 7 risalgono al Bronzo finale (XI sec. a.C.).
Torre Castelluccia
Una sentinella sul mare
Torre Castelluccia sorge in località Bosco Caggioni, sulla litoranea pulsanese sopraelevata e distaccata rispetto alla viabilità di servizio. Nominata per la prima volta nell’Atlantino del cartografo Mario Cartaro del 1613, la struttura ha una base quadrangolare, si sviluppa su due livelli ed è rivestita di conci squadrati di tufo fossilifero e spugnoso di colore giallo rossastro chiaro. Il fronte a monte nord-est mostra tre caditoie con rispettivi beccatelli, due dei quali sono dotati di archibugiere con il bordo a spatola.
Torre Castelluccia fa parte di un complesso e integrato sistema difensivo anti-corsaro voluto dal Viceregno spagnolo a partire dalla metà del Cinquecento e si pone a guardia di un tratto di costa ricco di insenature tra Torre Saturo, facente parte dell’abitato di Leporano, e la scomparsa Torre Rossa. Nel corso del tempo, alla torre è stata aggiunta una scala con un arco rampante per rendere più agevole l’accesso al piano superiore costituito da un’unica stanza voltata a botte e con camino.
Nel 1842, essa viene data in uso alla forza doganale e, successivamente, al Demanio nazionale e alla Marina Militare. Nel 1948 il fabbricato viene utilizzato come base per una ricerca archeologica che portò alla luce un insediamento databile tra l’Età del Bronzo e l’età del Ferro (XIII – X secolo a.C.). Attualmente, la torre presenta un forte degrado strutturale.
Tracce di insediamenti romani
Periodo romano – Le ville romane
Nell’area tarantina attestazioni di ville sono note in particolare lungo la costa. Lungo l’arco ionico sorgevano ville di Gandoli, Saturo, Luogovivo, Lido Silvana, Torre Ovo e Punta Prosciutto.
La villa di Luogovivo e di Lido Silvana, connessa ad un impianto produttivo per la lavorazione del pescato, così come i rinvenimenti subacquei relativi a relitti, forniscono primi dati per delineare, in particolare, a partire dal II-III sec. a. c. un paesaggio costiero contraddistinto da insediamenti complessi residenziali, impianti produttivi che sfruttano le risorse del mare. Le ville marittime godettero a lungo favore presso l’aristocrazia romana (I sec. a.C. e I sec. d.C.), quando possedere una villa con peschiera divenne oltre che una moda, anche simbolo di ricchezza e prestigio personale. Per soddisfare le esigenze di svago dei ricchi proprietari, si investivano ingenti risorse: oltre ai porticati, erano comuni ricchi complessi termali, spesso con natationes (piscine), giardini, fontane e ninfei talvolta anche monumentali.
Villa di Lido Silvana
In località Lido Silvana, presso il lido Lo Scoglio, sono ancora oggi visibili resti murari probabilmente attribuibili ad una villa costiera. A breve distanza, sulla scogliera, sono presenti alcune strutture pertinenti a fondi di vasche di età romana, rivestite con tessere in laterizio, riferibili ad un impianto per la lavorazione del pescato. L’impianto era articolato in 5 vasche disposte su almeno due file parallele. Delle vasche si conserva il fondo, il pavimento in tassellato laterizio e brevi porzioni delle parallele.
Tutti gli spigoli interni sono rivestiti di cocciopesto. A breve distanza da una salina e dalla sorgente delle Cannedde, venivano utilizzate per la salagione del pesce e per la produzione di conserve a base di pesce, ampiamente commercializzate nel mondo romano.
Mulino Scoppetta
Una testimonianza di archeologia industriale
Il Mulino Scoppetta di Pulsano è un raro esempio di archeologia industriale italiana, eccellenza dell’industria molitoria di Terra d’Otranto tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Ai margini del centro storico, dove un tempo sorgevano gli antichi mulini del locale feudatario, sopravvive il Mulino Scoppetta, unica testimonianza degli storici stabilimenti industriali per la produzione di farina, pane e derivati presente in loco.
L’attività, nata come farinificio industriale, fu avviata da Francesco Scoppetta (1853-1918), commerciante di prodotti agricoli originario di Atrani, in provincia di Salerno nel 1883. Dopo aver ricevuto la medaglia d’oro alla prima Esposizione campionaria agricola-industriale tenutasi a Palermo nel 1905, Scoppetta decise di implementare la produzione aggiungendo un pastificio meccanico e nel 1911 rinnovò il mulino con moderni macchinari a cilindri della ditta svizzera Bühler. Il nuovo impianto, all’avanguardia nel contesto regionale, rese possibile trattare fino a 80 quintali di grano al giorno, sia tenero che duro, quantità considerevole per l’epoca.
L’edificio è costruito con conci di pietra locale e soppalchi lignei suddivisi su quattro livelli, più una torre per il reparto della pulitura, magazzini e aree per la vendita al dettaglio. L’opificio, retto dagli eredi di Francesco, rimase in funzione fino al 1970, arrivando a impiegare fino a 10 operai. In seguito, venne abbandonato e subì i conseguenti danni del tempo. Nel 2001 è stato posto sotto tutela dal Ministero dei Beni Culturali, salvandolo da un probabile abbattimento. Negli ultimi anni è in atto una campagna di sensibilizzazione per la sua salvaguardia e valorizzazione.
Tombe a grotticella di Luogovivo
Echi della Magna Grecia
Colonizzazione greca - periodo arcaico
Sin dai primi anni dalla fondazione della colonia spartana di Taranto (706 a.C.) si osserva un’occupazione capillare del territorio circostante la città, tradizionalmente definito CHORA, a discapito delle popolazioni indigene, gli Iapigi. Nel periodo di massima espansione, la chora greca comprendeva i territori degli odierni comuni Palagiano, Massafra, Crispiano, Statte, Carosino, San Giorgio Ionico, Montemesola, Faggiano, Grottaglie, Pulsano, Lizzano, Leporano, Fragagnano. Le evidenze archeologiche dell’occupazione della chora sono costituite soprattutto dalle necropoli o piccoli villaggi sparsi intorno ad agglomerati più vasti. In località Luogovivo sono stati rinvenuti diversi frammenti di statuette in terracotta, soprattutto del recumbente barbato, uno dei soggetti più diffusi nella produzione di terracotte votive tarantine.
Numerose le necropoli rinvenute nel territorio di Pulsano: in località Spartifeudo sono state esplorate 14 tombe. Gli elementi di corredo rinvenuti sono da datare tra la seconda metà del IV e gli inizi del III sec. a.C. La pratica di sepoltura più comunemente attestata in età greca è l’inumazione. Il defunto, deposto in posizione supina, era accompagnato da oggetti da corredo rispondenti allo stato sociale e al sesso. Le tombe ritrovate in contrada Calapricello e Luogovivo hanno restituito ricchi corredi funerari con ceramica d’importazione corinzia, prodotta a partire dal 625 a.C. Si tratta di una ripetizione di schemi con scene di caccia e di battaglia, fregi animali e motivi floreali.
Periodo classico-ellenistico V-III a.C.
Più numerose le attestazioni di necropoli classico-ellenistiche a Pulsano. Da Masseria Calapricello provengono corredi di sepolture costituiti da vasi a figure rosse e a vernice nera. Dalla località Foza, ad ovest di Pulsano, proviene una sepoltura ad incinerazione all’interno di un’oinochoe (brocca per il vino) a figure rosse con due defunti raffigurati dentro un’edicola.
Negli anni ‘50 furono rinvenute due tombe risalenti all’età ellenistica presso la masseria Li Vazzi e nelle contrade Scorcora e Molitilli. Al 1982 è il rinvenimento di via Toma di 5 tombe a fossa risalenti al IV-III sec. a.C. Nel 1995 in località Spartifeudo sono state esplorate 14 tombe con controfossa, delle quali 2 a pseudosarcofago.
Nel corso del IV sec. a.C. si diffonde una nuova tipologia di vasellame. Comunemente riconosciuta come “ceramica di Gnathia”, prodotta originariamente a Taranto e diffusasi in vari centri della Puglia meridionale e centrale, di alto valore artistico con vasi decorati con motivi vegetali o scene di genere (per lo più teatrale o sacro), usati durante i simposi o in ambito funerario.
La necropoli e le tombe a grotticella
La necropoli di Torre Castelluccia a Pulsano è situata sul pianoro a nord dell’abitato, nelle vicinanze della torre cinquecentesca. Nell’area sono state rinvenute 4 tombe ad inumazione databili al VI millennio a.C. La pratica della cremazione inizia a diffondersi nell’età del Bronzo medio (XVII – XIV sec. a.C.) insieme all’usanza dei seppellimenti collettivi entra grandi ambienti o ipogei - artificiali o naturali - dolmen o grotticelle), progressivamente abbandonati a favore della cremazione in urna.
Una tomba a grotticella artificiale, risalente al Bronzo medio-recente (XVII – XII sec. a.C.) è stata rinvenuta sul pendio occidentale del pianoro nei pressi della torre. Costituita da una cella di forma ellittica e da un corridoio di accesso, al suo interno conteneva i resti di più individui disposti in posizione rannicchiata, assieme ad alcuni elementi di corredo. A partire dalla fine del Bronzo medio si assiste alla completa affermazione della pratica della cremazione in “campi di urne”. I resti umani combusti sono contenuti all’interno di urne cinerarie a collo cilindrico o conico in ceramica, coperte da ciotole carenate capovolte e in molti casi cinte da un piccolo circolo di pietre infisse nel terreno poste a protezione della sepoltura. La ceramica impressa e graffita, che caratterizza le sepolture, riporta ad una fase antica del VI millennio a.C.
La rievocazione storica del 'Polso Sano'
Un tuffo nel passato
Nel cuore della provincia di Taranto, in estate, il borgo di Pulsano si anima ogni anno con la rievocazione storica del “Polso Sano”, un evento che riporta indietro nel tempo e tiene vive usanze e tradizioni risalenti all’epoca medievale. La manifestazione prende vita nel suggestivo scenario del Castello De Falconibus, dove il passato rivive attraverso un accurato lavoro di ricostruzione storica. Il castello e la sua piazza si trasformano in un palcoscenico a cielo aperto.
Chiesa madre e celebre Santuario Mariano Diocesano di Pulsano, fulcro della vita religiosa della comunità, unica parrocchia del paese e luogo di devozione dei santi patroni. Inaugurata nel 1858, poco fuori le mura del paese (attualmente non più esistenti), la chiesa madre presenta un impianto neoclassico a tre navate con transetto terminante nella parte destra in un cappellone e una facciata in carparo in tonalità ocra, con sei lesene in stile ionico e un timpano triangolare con lunetta interna.
Nel 1959 la chiesa fu colpita da un incendio accidentale, in seguito al quale si procedette alla decorazione delle volte con stucchi colorati a finto marmo, cornici di gesso e immagini circolari di santi a opera dell’artista tarantino Francesco Carrino.
Al di sopra dell’originale altare centrale marmoreo spicca, all’interno di una nicchia apposita, la statua della patrona, la Madonna dei Martiri, in legno dorato risalente almeno al 1685. Ai lati del presbiterio, a destra vi è la cappella dedicata all’altro patrono, San Trifone martire; a sinistra vi è una grande riproduzione della grotta di Lourdes realizzata nel 1933 per volere del medico pulsanese Egidio Delli Ponti in seguito alla propria miracolosa guarigione da un tumore, le cui spoglie riposano all’inizio della navata sinistra. Sulle pareti laterali sono custodite le immagini dei santi più venerati del Salento, realizzate in cartapesta dai più famosi artisti leccesi del XX secolo, tra cui Luigi Guacci, Raffaele Caretta e i fratelli Gallucci. Nel 1979, per volontà dell’allora parroco don Franco Limongelli, fu aggiunto un campanile con 8 campane e un orologio quadrifacciale della ditta Giannattasio di Salerno. Nel febbraio 1948 la chiesa fu proclamata Santuario Mariano Diocesano dall’arcivescovo tarantino Ferdinando Bernardi e da allora è meta di pellegrinaggio in occasione della ricorrenza delle celebrazioni della Madonna di Lourdes (11 febbraio).
La Chiesa Stella Maris
La fede in riva al mare
Un singolare luogo di devozione mariana affacciato direttamente sul mare di Pulsano. La chiesa Stella Maris, attuale sede di rettoria diocesana, fu inaugurata il 4 luglio del 1964 e fu fortemente voluta dalla devota pulsanese Angelina Screti e dall’allora parroco don Bruno Falloni.
La chiesetta, dotata di un piccolo campanile, sorge in località Montedarena di fronte a una delle principali spiagge del paese e serve spiritualmente i villeggianti e i turisti della zona costiera. Ogni anno, nelle giornate del 14 e 15 di agosto, la rettoria organizza i festeggiamenti in onore dell’Assunta, declinata come protettrice del mare: in tale occasione si svolge una caratteristica processione in mare che si conclude appunto con l’arrivo del corteo festante in chiesa.
La Cappella del SS. Crocifisso
Un antico luogo di culto in campagna
Un piccolo luogo di culto meta dei tradizionali pellegrinaggi quaresimali, ubicato tra le campagne di Pulsano. La cappella del SS. Crocifisso si trova a Nord-Ovest del paese, immersa tra uliveti e vigneti che caratterizzano il territorio alla confluenza tra i comuni di Pulsano, Leporano e Taranto. L’attuale edificio a navata unica risale alla prima metà dell’Ottocento, quando il benefattore pulsanese Francesco Bisanti finanziò i lavori di ristrutturazione delle due cappelle preesistenti di San Nicola e Santo Spirito, documentate già nei primi anni del Cinquecento.
Sopra l’unico altare in pietra è custodita una statua lignea raffigurante il Crocifisso sul modello iconografico del Cristo patiens (sofferente), sanguinante, sconvolgente per la magrezza della cassa toracica e dell’addome, oltre che per il colorito bianco, a tratti cianotico sugli zigomi, sulle labbra e sulle palpebre. L’opera, citata già nel 1510 dal vescovo Giovanni Maria Puderico all’interno della sua visita pastorale, dà l’impressione di cadere sotto il suo stesso peso, sostenuta soltanto dalle esili braccia percorse dai tendini sfilacciati dallo sforzo innaturale. Alla scultura i devoti indirizzano i canti e le proprie preghiere in occasione della liturgia della Via crucis, che si ripete annualmente nelle prime ore pomeridiane dei venerdì di Quaresima.
Completano l’arredo sacro un manichino vestito di stoffa raffigurante l’Addolorata e un San Francesco da Paola di fattura napoletana di fine Ottocento. L’esterno consiste in una semplice facciata dipinta a calce bianca, secondo la tradizione pugliese, con un piccolo campanile a vela e un orticello retrostante in cui sono coltivate piante aromatiche tipiche del territorio.
La Chiesa del Purgatorio
Arte sacra con le statue del Venerdì Santo
Luogo per eccellenza dei riti della Settimana Santa di Pulsano e sede dell’omonima Arciconfraternita. Nel centro storico, in posizione frontale rispetto al castello, si erge la chiesa del Purgatorio, sede della venerabile Arciconfraternita della SS.ma Vergine Maria del Monte Carmelo. L’edificio a navata unica con volte a stella presenta un unico altare in tufo locale intarsiato a bassorilievo risalente al 1671, sovrastato da una tela settecentesca raffigurante la Madonna del Carmelo nell’atto di intercedere per alcune anime del Purgatorio, realizzata dall’artista Pietro Bianchi, esponente di una celebre famiglia di pittori originaria di Manduria.
Inglobata all’interno dell’altare vi è una scultura del Cristo Morto, un monoblocco ligneo scolpito e dipinto nel 1800 da Giuseppe Pagano, artista napoletano di impronta neoclassica che partecipò anche alla decorazione marmorea del famoso cappellone della cattedrale di S. Cataldo a Taranto.
Nei muri perimetrali sono posizionati i venerati simulacri della processione del Venerdì Santo pulsanese: le prime quattro statue (Gesù all’orto, alla colonna, Ecce homo e Gesù cadente sotto il peso della propria croce) sono opere polimateriche del 1837-39 dello scultore ostunese Giuseppe Greco, cui si aggiungono un Cristo crocifisso di cartapesta e un’Addolorata vestita in abiti luttuosi. A completare l’apparato scultoreo vi è l’effigie della protettrice della Confraternita, posta all’interno di una nicchia a vetro affianco all’altare.
Accanto alla chiesetta si trova la sacrestia, adibita a luogo d’incontro dei confratelli e delle consorelle e sede dell’Archivio storico confraternale, che tra i documenti di maggior interesse annovera lo statuto originario risalente al 1760, voluto dal padre spirituale don Francesco Pignataro.
La Chiesa del SS. Sacramento
Una cappella nel centro del paese
Cappella urbana sede di una delle due Confraternite presenti a Pulsano, centro di devozione verso l’Immacolata, adornata al suo interno da sculture e tele a tema mariano. La chiesetta sorge nel centro storico del paese laddove un tempo si ergeva l’antica chiesa madre dedicata all’Assunta ed è sede della Confraternita del SS. Sacramento, già documentata agli inizi del XVII sec. L’attuale complesso architettonico, frutto del rimaneggiamento di una delle cappelle della citata chiesa preesistente, risale alla prima metà dell’Ottocento. Essa presenta una struttura architettonica con una semplice facciata di carparo locale percorsa da cornici orizzontali aggettanti e da quattro lesene di ordine ionico.
L’interno è costituito da una navata singola composta da tre campate con decorazioni parietali in tufo con graziosi angioletti e motivi geometrici bianchi, grigi e dorati. Sopra l’unico altare in pietra è posizionata una tela risalente al XVIII secolo raffigurante l’Immacolata Concezione con le mani giunte all’altezza del petto, lo sguardo pensoso rivolto verso l’alto, disposta su una nuvola popolata da quattro puttini. Ai quattro lati della tela altrettanti angeli reggono un cartiglio con la scritta Quam pulchra in rosis tam pura in lilys (“Così bella tra le rose quanto pura tra i gigli”) in riferimento alla Vergine. Sulle pareti laterali due tele ovali raffigurano San Francesco da Paola e la Madonna di Pompei. Nella chiesetta si venerano inoltre due sculture in legno vestito rappresentanti l’Addolorata e l’Immacolata.
Il Castello De Falconibus
L'emblema della comunità
Storico simbolo di Pulsano, troneggia al centro del paese con la sua piazza, da sempre principale punto di riferimento della comunità. Il Castello di Pulsano è comunemente chiamato De Falconibus dal nome di una nobile famiglia originaria di Bisceglie e apparsa in queste contrade già a partire dal XIV sec. L’avvio della sua costruzione avvenne nel 1430 a opera di Marino De Falconibus, esponente di spicco della feudalità tarantina. Attraverso questa nuova fortificazione, eretta a partire da una preesistente torre quadrangolare del periodo normanno, il cosiddetto Casale di Pulsano, aperto e indifeso, venne trasformato in Terra, ovvero un abitato protetto, recintato e difeso da mura. I De Falconibus abitarono nel castello fino al 1560: tra essi si ricordano le figure di Cosma, Raffaele e infine Giovanni Antonio, che fu uno dei due capitani tarantini che presero parte alla tristemente celebre battaglia di Otranto del 1480.
Nel 1617 la nobile famiglia dei Muscettola, di origine napoletana, acquistò le Terre di Pulsano, Leporano, Torricella e Monacizzo. Francesco Muscettola, secondo principe di Leporano dal 1646 al 1675, assieme alla seconda moglie Lucrezia Caracciolo risiedette nel castello, apportando significative modifiche visibili ancora oggi. Tra di esse spiccano la costruzione di una nuova porta di accesso sul lato ovest, corrispondente a quella attuale, e un vano di raccordo con balcone tra la sala grande della torre quadrata e il resto dell’abitazione padronale, abbellita con camini e affreschi di cui ora rimangono solo minime tracce geometriche e floreali, un episodio biblico, nella fattispecie la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre e infine un Cristo pantocratore all’interno di un medaglione.
Sviluppato su due piani, con mura perimetrali in carparo e merlatura sugli spalti, il castello possiede due torri rotonde e tre quadrate, di cui quella che affaccia sull’odierna piazza antistante veniva utilizzata come centro informativo di controllo per il sistema difensivo locale ed è in diretta comunicazione visiva con Torre Castelluccia, ubicata sul litorale. Al primo piano della suddetta torre maggiore, si può osservare una volta a crociera con lunette e archi con al centro scolpito lo stemma dei baroni De Falconibus. Con Nicolò Sergio, figlio di Francesco, i Muscettola si trasferirono nel loro nuovo grande palazzo di Leporano, e il castello pulsanese fu così riconvertito in magazzino di vettovaglie fino al 1912, quando il Comune di Pulsano lo acquistò per la cifra di 12mila lire per adibirlo a sede degli uffici municipali. Dopo essere stato per decenni la sede amministrativa e politica del paese, attualmente l’edificio ospita l’Ufficio Informazioni Turistiche (IAT), il Museo della Civiltà Contadina nonché vari eventi culturali.
Convento dei Padri Riformati francescani
Francescanesimo a Pulsano
Il convento dei Padri Riformati di San Nicolò di Puglia fu edificato tra il 1709 e il 1712 accanto alla chiesa S. Maria dei Martiri per volontà di Nicolò Sergio Muscettola, principe di Leporano e di Pulsano. Disposto su due piani, l'edificio si presenta massiccio e imponente, con gli ambienti che si collocano attorno a un chiostro con arcate a tutto sesto. La comunità monastica francescana esercitò prevalentemente attività di preghiera, di assistenza agli ammalati, di coltivazione dei prodotti derivanti dal possesso di vasti terreni nel perimetro circostante e di studio poiché esisteva una biblioteca, l’unica della Provincia Riformata attiva nel corso del XVIII secolo.
Dopo le leggi di soppressione in seguito all’Unità d’Italia (1861), il convento divenne di proprietà comunale e fu adibito a vari scopi: caserma dei Reali Carabinieri con annesse celle di prigionia, uffici e biblioteca comunali, aule scolastiche. Dal 1912, l'edificio divenne sede della comunità monastica delle Suore Stimmatine che esercitarono l'attività di asilo nido e di scuola di ricamo e di cucito per avviare professionalmente la popolazione femminile pulsanese. Ormai spoglio di qualsiasi arredo originario, il convento ospita attualmente la biblioteca comunale e il Museo archeologico cittadino. Degno di nota, all'interno dell'ex refettorio, è il grande affresco raffigurante l'Ultima Cena realizzato dall’artista Giuseppe Bianchi, esponente di una celebre famiglia di pittori originaria di Manduria.
La Torre dell’Orologio
Un simbolo del tempo
Al lato del Castello di Pulsano è immediatamente riconoscibile la torre dell’Orologio civico del paese, che si innalza sulla vecchia guardiola della porta maggiore facente parte delle antiche mura perimetrali urbane. Le componenti meccaniche dell’orologio e la campana furono commissionate dall’allora sindaco Felice Laterza alla famosa fabbrica milanese Cesare Fontana, mentre il quadrante di marmo bianco con numeri romani fu realizzato a Napoli. Il 29 giugno del 1882 l’orologio entrò in funzione e da allora viene periodicamente ricaricato a mano.
Baia Serrone
La caletta di Baia Serrone, situata nella località di Marina di Pulsano, è una spiaggia attrezzata e molto apprezzata per la sua bellezza naturale. Questa baia offre una spiaggia libera attrezzata con servizi come noleggio di lettini e ombrelloni, docce, e un bar ristorante che serve piatti di pesce, carne, pizze, insalate e panini, rendendola ideale per una giornata di relax al mare. La spiaggia è nota per le sue acque cristalline e la presenza di calette che formano piscine naturali, particolarmente adatte per i bambini. L'atmosfera è tranquilla e immersa nella natura, perfetta per chi cerca un po' di pace lontano dalla confusione delle spiagge più affollate.
Pezza Rossa
Baia Pezza Rossa
Baia Pezza Rossa è una splendida spiaggia situata nella Marina di Pulsano, lungo la costa ionica della Puglia. Questa baia è caratterizzata da finissima sabbia dorata e acque cristalline, con un fondale basso che la rende ideale per famiglie con bambini. Circondata dalla macchia mediterranea, offre un'atmosfera tranquilla e rilassante, lontana dal caos delle spiagge più affollate. La baia è perfetta per chi cerca una giornata di relax immerso nella natura incontaminata. Baia Pezza Rossa si trova tra altre incantevoli baie della zona, come Baia Serrone e Baia Lido Silvana, tutte note per la loro bellezza naturale e le acque limpide.
Capparrone o Villa Verde
Percorrendo la litoranea di Pulsano è difficile non notare altri angoli di costa di conclamata bellezza. La Baia di Capparrone o “Villa Verde” è una piccola insenatura con scogliere ai lati che nasconde una piccola caletta. Il nome di questa baia potrebbe essere ricollegato a una pianta tipica della zona, il “cappero”, che cresce spontaneamente sul territorio, e in particolare sulle scogliere, producendo fiori e frutti. Oltre alla balneazione, poi, da questa baia è possibile affacciarsi alla “ringhiera” della terrazza soprastante e allungare il proprio sguardo verso l’orizzonte.
Montedarena
La Baia di Montedarena probabilmente deve il suo nome alla combinazione di due parole: “Monte” che significa “collina” o “altura” e “Arena” che si riferisce senza dubbio alla sabbia; quindi, potrebbe essere interpretato come “collina di sabbia” o “altura sabbiosa”. Nelle vicinanze di questa spiaggia situata a Pulsano vi è una piccola chiesetta dai colori tipici del mar Mediterraneo, il bianco e l’azzurro, chiamata “Stella Maris” la chiesa si affaccia proprio sulla spiaggia, creando una sorta di connessione speciale tra il mare, i bagnanti e la spiritualità.
Le Canne
La Baia delle Canne è separata dalla spiaggia La Fontana soltanto da una piccola scogliera che fa da confine a una lunga distesa di sabbia finissima. Il nome “Baia delle Canne” potrebbe derivare dalla presenza in passato di canneti o canne di palude lungo la costa, anche se non esiste una spiegazione ufficiale. Entrambe le spiagge sono caratterizzate da bassi fondali che digradano verso il largo, rendendole adatte ai bagnanti di tutte le età.